La nuova Costituzione firmata Renzi-Boschi è inquietante anche per certi particolari dall’aria innocua e dagli effetti potenti. Per esempio il nuovo art. 116 sull’autonomia delle Regioni modifica quello precedente puntualizzando una cosa: che si possono concedere più poteri di autogoverno solo a quelle Regioni “in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”. Attenzione al trucco: un altro vincolo di natura economica viene introdotto nella Carta a misurare i diritti col metro della moneta. In questo modo solo le Regioni più ricche potranno scegliere in autonomia le proprie politiche del lavoro, della scuola, del governo del territorio, dell’ambiente, dei beni culturali. E le altre? Si prenderanno quello che deciderà lo Stato.
Un principio disgustoso: i cittadini avranno servizi a velocità diverse per volere della Costituzione. Il disegno di unità nazionale dei padri costituenti, la Costituzione del diritto e dell’uguaglianza, vengono ancora sfigurati con la tenaglia dei bilanci e con la lama dell’economia. Si può accettare che la Carta fondamentale promuova la diseguaglianza fra i cittadini? In un documento pubblico i consiglieri regionali del Pd Emilia Romagna hanno sottolineato questa novità come pregio della riforma: dal lato dei più forti si capisce che va bene. Hanno parlato di “regioni virtuose”. Chissà come va inteso questo nuovo concetto di virtù fondato sulla ricchezza. Mi domando se questa nuova virtù comprende pure quello che è successo a Goro.
Il nuovo art. 116 rischia di aumentare le differenze fra il Nord e il Sud del Paese; una disparità che i padri costituenti volevano sanare, e che invece stavolta, per la prima volta, sarà avallata dalla Costituzione. Ma noi perché dovremmo dire sì a tutto questo? Che vergogna!

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