La differenza tra un regime autoritario e la democrazia risiede nella sovranità auto-attribuitasi ed esercitata da una entità statale, da una forma di governo o peggio ancora da un partito o da un uomo forte al comando sulle articolazioni del vivere comune: potere giudiziario, scuola e università, stampa e informazione. Quando l’ingerenza è assoluta da autoritario il regime diviene totalitario. Ad essere sotto attacco è l’art. 33 della Costituzione repubblicana: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Sono libere e ne è libero l’insegnamento perché la sovranità appartiene al popolo, non al governo, non al presidente del consiglio, non al giro di amicizie del presidente del consiglio. Per questo reputo pericoloso per l’accezione democratica del nostro assetto costituzionale il decreto per le università redatto dalla presidenza del consiglio. Tale decreto istituisce su nomina diretta del presidente del consiglio una commissione di 25 membri che seleziona 500 docenti universitari con un contratto maggiorato secondo la media degli stipendi e con un accesso alle cattedre che non contempla il concorso pubblico. Un modello scopiazzato dal sistema statunitense che non considera il carattere pubblico, quindi democratico, delle nostre università. Difendere l’università significa finanziare la ricerca, consentire il turn over nelle nostre accademie, non condannare al precariato i ricercatori, aumentare le borse di studio per garantire pari opportunità. Il baronato all’interno delle università va si contrastato ma con trasparenza e meritocrazia e non creando un superbaronato di fedelissimi al presidente del consiglio. Scelta che ricorda più le velleità di regimi autoritari che di paesi a tradizione democratica. Ad essere mortificato è lo spirito liberale, indipendente e critico delle nostre istituzioni accademiche. Solo una ricerca libera contribuisce allo sviluppo di una comunità.

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