Non sono sufficienti le regole imposte a colpi di statuto, non può essere risolutiva l’azione giudiziaria, non è utile la persecuzione pubblica del “mostro” momentaneo, così come non lo è la rimozione collettiva da parte dei partiti.

La questione morale in politica?

La risposta deve essere morale e deve provenire dalla politica, la quale deve avere il coraggio di compiere un passo indietro per fa spazio al protagonismo della società civile, capace di apportare linfa vitale nuova.

Come dimostra la cronaca giornalistica e come provano le inchieste in corso, si tratta di un tema centrale del dibattito pubblico che merita di essere affrontato con sincerità emotiva ed onestà intellettuale da parte di tutti noi, cittadini compresi.

Dalla sua risoluzione, del resto, dipende la vittoria sul sentimento generale di anti-partitocrazia che cresce ogni giorno nel paese: sentimento ben diverso dall’anti-politica, perchè quello che provano i cittadini, al contrario, è un bisogno di politica ma di politica vera.

Un sentimento, questo, non soddisfatto dai partiti e dalla loro dirigenza, che non si esaurisce negli apparati delle organizzazioni tradizionali, ma che chiede di potersi esprimere e di essere tenuto in considerazione. Il referendum e le elezioni, quanto sta accadendo qui a Napoli, confermano il bisogno di partecipazione all’amministrazione della “cosa pubblica” da parte della cittadinanza.

Bisogno che rappresenta quanto di più distante ci possa essere dal disinteresse politico generale, che pure nasce dal senso di disaffezione e sfiducia alimentati dalle notizie relative alla nuova P2, alla scoperta di sistemi di finanziamento illecito dei partiti per mezzo di corruzione o concussione, al venire a galla di un intreccio bipartisan di affarismo e clientele scandito dalla spartizione opaca di appalti, consulenze, poltrone.

Rispetto a tutto questo – che citando Enrico Berlinguer chiamiamo ancora questione morale- non serve introdurre per statuto il limite di due mandati per i rappresentanti istituzionali, imporre il cambio della classe dirigente con la discriminazione dell’età (gioventù non è automaticamente sinonimo di merito), ridurre la trasparenza e l’onestà alla fedina penale pulita: si tratta di misure utili, ma non risolutive del problema, che invece interroga la classe politica spingendola all’autocritica e al passo indietro, per rendere protagonisti movimenti, cittadini, organizzazioni, comitati.

La strada da percorre è; un’altra e le sue tappe sono: riforma della legge elettorale che delega alle segreterie dei partiti il diritto di scegliere i parlamentari, primarie di collegio aperte e non ridotte a resa dei conti interna ai partiti, nascita di consulte e assemblee che indichino alle amministrazioni, anche sfruttando lo strumento del web, le priorità di governo (a Napoli lo stiamo facendo con l’Assessorato ai beni comuni e alla democrazia partecipativa), scuole di formazione e momenti di confronto pubblico (anche a livello di quartiere) sui temi di interesse generale, codici etici vincolanti che tengano lontani dalle istituzioni personaggi accusati di reati come l’associazionismo mafioso oppure di reati come concussione e corruzione, ricorso al referendum su materie importanti e delicate, riscoperta dei partiti che non possono essere tutti liquidati, vista la storia nazionale, come solo conglomerato di interessi privati e clientele, ma devono tornare alla funzione che assegna loro la Costituzione.

Serve, quindi, la rinuncia della politica al proprio ruolo totalizzante, ma anche il coraggio della società a mettersi in gioco: un passo indietro dei partiti per facilitare quello in avanti dei cittadini, perchè sulle loro spalle grava la responsabilità di prendersi ciò che spetta loro, ovvero la decisione in merito al proprio destino di singoli e di collettività.

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